Il caso Mattei
Non se lo ricorda quasi più nessuno, dopotutto siamo o non siamo nella terra della memoria dei pesci rossi? (sebbene non l’unica nel mondo). Eppure correva un tempo, nei lontani anni ’70, in cui i film venivano realizzati con altri fini, altre necessità; erano film molto duri, in simbiosi con i temi in cui erano più gli spari e le bombe che le parole a colpire a fondo il cuore dello spettatore. In questo conglomerato di necessità sociale, un regista è riuscito più di altri nell’impresa di fare film con ritmo, storie e cronaca; quel regista era Francesco Rosi. L’unicità di questo cineasta napoletano si ritrova soprattutto nella sua capacità di far capire alle persone che cosa era e cosa stava succedendo in Italia in quegli anni, senza vezzi, ma con grande efficacia ed eleganza, esperienza (allievo, aiuto regista di Visconti) ed efficacia. “Voglio che la gente sappia e capisca cosa sia successo.”
C’è stato un momento nella storia del cinema italiano in cui sembrava che un film non avesse senso di esistere, a meno che non contenesse un messaggio sociale, una denuncia, una rappresentazione fedele e spietata della realtà; insomma, un “impulso etico-politico” come lo definiva il critico Alberto Asor Rosa, capace di smuovere le coscienze. Il cinema di Rosi nasce dal frutto di una linea diretta con l’epoca che lo aveva preceduto, la sua accademia cinematografica era stata al fianco di Visconti. Il risultato fu stupefacente: il cinema di Rosi diviene il cinema dell’inchiesta, un genere che probabilmente oggi non ci sembra più così tanto raro da incontrare ma che invece fu una grande intuizione del regista napoletano.
Mai tema può essere più attuale. Gas, energia e quei maledetti intrighi internazionali. Quanto avremmo bisogno di un Enrico Mattei in questi tempi di guerra, anzi di genocidio.
Il progetto globale di “tragedia di stato” con echi universali emerge anche nel secondo film che vogliamo comparare alla storia del bandito siciliano: da una prima scelta radicale: il film si apre con l’omicidio di Giuliano, di come vediamo il corpo disteso del criminale nel cortile con faccia a terra Rosi racconta l’istanza di un altro corpo, che espande i propri interrogativi in più direzioni, e soprattutto, ancora una volta, avanti e indietro nel tempo. Il corpo che in questo caso non vediamo deceduto, è quello del presidente dell’ENI, Enrico Mattei, vittima, di un misterioso incidente aereo (che poi si rivelerà molto altro) assieme a lui morirono il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista statunitense William McHale della testata Time–Life, incaricato di scrivere un articolo su di lui.
Sempre con tale ricchezza di informazioni, a differenza di Giuliano, dove il protagonista non viene quasi mai inquadrato se non da disteso, ne “Il caso Mattei” Gian Maria Volonté presta volto, anima e corpo ad una diversa ma altrettanto misteriosa (fino ad un certo punto) vicenda italiana, dal sapore, o puzzo, internazionale. Come sempre, qualcosa di più grande coinvolge un paese spaurito e confuso come quello italiano.
Un film che incastra fiction a interviste reali, immagini d’archivio a sequenze nelle quali lo stesso Rosi interpreta sé stesso; un film che tenta un coraggioso quanto innovativo intreccio tra finzione e realtà, dove è difficile scorgere il confine tra i vari piani narrativi. Ne risulta un film dinamico e originale che coinvolge e trascina ma che, soprattutto, ci permette di comprendere in modo esaustivo le mille sfaccettature di un uomo su cui e attorno a cui ruota tutta la storia. Quindi come in Giuliano da un omicidio, a ritroso e tramite un montaggio che inchioda fino alla fine della visione, di flashback e interviste, Rosi ci coinvolge nella ricerca del disegno totale, moltiplicando i punti vista sviscerando il protagonista.
Nel caso Mattei Rosi appare in una sorta di meta cinema davvero coinvolgente e girato con una naturalezza e una maestria assoluta. Memorabile la scena in cui seduto su una poltroncina di una saletta privata chiede a dei collaboratori di visionare alcune foto, e quella della telefonata al giornalista Mauro de Mauro.
Per avere l’esatta e minuziosa ricostruzione degli ultimi due giorni di vita di Mattei in Sicilia, Rosi alla fine di luglio dei 1970 dette l’incarico dunque a De Mauro, un giornalista del quotidiano di Palermo, che aveva già collaborato alla realizzazione del film su Giuliano.
Quello delle ultime ore di Mattei era (e resta) infatti un buco nero nell’ inchiesta farsa che fino a quel momento era stata condotta dalla magistratura sulla sua scomparsa.
Per Rosi e De Mauro il primo punto da chiarire è perché Mattei era tornato in Sicilia, dopo esserci stato appena una settimana prima Purtroppo dopo giornate chiuse in casa a riascoltare nastri e rileggere appunti presi a Gagliano e Palermo, De mauro, il 16 Settembre del 1970, fu rapito dalla mafia siciliana e mai più ritrovato.
Per riscoprire la verità e forse, permettendo ad un paese bello e disgraziato come il nostro, di darsi della pura e meritata dignità storica.
Il Caso Mattei-Oltre il cinema inchiesta come appello ad una verità universale
Analisi e approfondimento a cura di Amerigo Biadaioli
Film: Il Caso Mattei
Regista: Francesco Rosi